La Santa Famiglia
ti sorrida dal Cielo e ti benedica!

giovedì 22 novembre 2012

Santi Filemone ed Appia con il figlio Sant’Archippo di Colossi

Famiglia martirizzata

Filemone di Colosse in Frigia, fu discepolo di San Paolo e a lui l'Apostolo scrisse la più breve delle sue epistole. Era un facoltoso colossese, proprietario di fabbricati e schiavi e  fu convertito e battezzato proprio da Paolo insieme ai suoi. Filemone si distingueva per la sua generosità nel soccorrere e nell'ospitare « i santi » e la  comunità colossese si radunava nella sua « casa ». Appia, o meglio Affia o Apphia, fin dall'inizio della lettera, è posta da  San Paolo a fianco di Filemone «fratello diletto» e salutata come «sorella diletta» (questo aggettivo manca nella maggioranza dei codd. e nelle edizioni critiche, ma si ha nella Volgata, nella Peshitta e in parecchi codd. dal sec. VIII in poi). S. Giovanni Crisostomo, Teodoreto, ed altri al loro seguito, hanno ritenuto, con buon fondamento, che essa fosse la moglie di Filemone. Apparteneva, comunque, certamente alla sua famiglia, come del resto Archippo, nominato per ultimo fra i tre destinatari della lettera i quali formavano un gruppo familiare assai caro a Paolo; Archippo doveva essere il figlio di Filemone ed Appia. La loro casa amica era a disposizione dell'Apostolo. I tre, insieme al loro schiavo convertito Onesimo,  sarebbero stati martirizzati insieme a Colosse.

Santi Cecilia e Valeriano

Famiglia martirizzata

Cecilia viene data in sposa a un pagano di nome Valeriano a cui lei stessa la notte dopo le nozze rivela che ella ha appena fatto, davanti a Cristo, voto di castità. Valeriano è invitato dalla sua sposa a purificarsi a una fonte di grazia in modo che così anche egli possa vedere il suo futuro angelo protettore. Il pagano va quindi sulla via Appia e, trovato il papa Urbano, si fa battezzare da cristiano. Quando torna dalla sua amata, la vede assistita da un angelo e a lui Valeriano chiede la conversione di suo fratello Tiburzio. Ma Turzio Almachio, il prefetto di Roma, fa uccidere i due fratelli che intanto hanno convertito tanta gente, fra cui il funzionario romano Massimo. Almachio fa uccidere pure questo, che Cecilia seppellisce in un sarcofago cristiano. Almachio, per appropriarsi dei beni di Valeriano, fa uccidere Cecilia gettandola in liquidi bollenti ma, visto che la santa ne esce sana e salva, il prefetto la fa decapitare. Il boia la colpisce tre volte senza ucciderla, e lei, nei tre giorni successivi, distribuisce tutti i suoi averi ai poveri e finalmente muore felice. Il papa Urbano, con l'aiuto dei suoi diaconi, seppellisce Cecilia dove si seppelliscono i martiri e i servitori della Chiesa.     

giovedì 25 ottobre 2012

Santi Crisanto e Daria

Famiglia martirizzata

Crisanto figlio di un certo Polemio, di origine alessandrina, venne a Roma per studiare filosofia al tempo dell’imperatore Numeriano (283-284), qui ebbe l’occasione di conoscere il presbitero Carpoforo, quindi si istruì nella religione cristiana e poi battezzare.
Il padre Polemio cercò in tutti i modi di farlo tornare al culto degli dei, si servì anche di alcune donne e specialmente della vestale Daria, dotta e bella donna.
Ma Crisanto riuscì a convertire Daria e di comune accordo, simulando il matrimonio, poterono essere lasciati liberi di predicare, convertendo molti altri romani al Cristianesimo.
Ma la cosa non passò inosservata, scoperti furono infine accusati al prefetto Celerino, il quale li affidò al tribuno Claudio, che in seguito ad alcuni prodigi operati da Crisanto, si convertì insieme alla moglie Ilaria, i due figli Giasone e Mauro, alcuni parenti ed amici e gli stessi settanta soldati della guarnigione, che aveva in custodia gli arrestati.
A questo punto intervenne direttamente l’imperatore Numeriano che condannò Claudio ad essere gettato in mare con una grossa pietra al collo, mentre i due figli e i settanta soldati vennero decapitati e poi sepolti sulla Via Salaria; dopo qualche giorno anche Ilaria mentre pregava sulla loro tomba morì.
Anche Crisanto e Daria dopo essere stati sottoposti ad estenuanti interrogatori, furono condotti sulla Via Salaria, gettati in una fossa e sepolti vivi sotto una gran quantità di terra e sassi.

lunedì 22 ottobre 2012

Beato Giovanni Paolo II (1920-2005)


“Il messaggio che viene dalla Santa Famiglia è anzitutto un messaggio di fede: quella di Nazaret è una casa in cui Dio è veramente al centro. 
Per Maria e Giuseppe questa scelta di fede si concretizza nel servizio al Figlio di Dio loro affidato, ma si esprime anche nel loro amore reciproco, ricco di spirituale tenerezza e di fedeltà.
Essi insegnano con la loro vita che il matrimonio è un’alleanza tra l’uomo e la donna, alleanza che impegna alla reciproca fedeltà e poggia sul comune affidamento a Dio. Alleanza così nobile, profonda e definitiva, da costituire per i credenti il sacramento dell’amore di Cristo e della Chiesa.
La fedeltà dei coniugi a sua volta si pone come solida roccia su cui poggia la fiducia dei figli. Quando genitori e figli respirano insieme questo clima di fede, essi dispongono di una energia che permette loro di affrontare
prove anche difficili, come mostra l’esperienza della Santa Famiglia”

mercoledì 5 settembre 2012

Beata Teresa di Calcutta (1910-1997)


“Se noi, nel quotidiano della nostra vita, riuscissimo almeno un poco a prendere esempio dalla vita e dall’armonia che regnavano nella Famiglia di Nazareth - fra Maria, Giuseppe il Bambino - e se facessimo un po’ rivivere, anche nelle nostre famiglie, l’atmosfera che si respirava in quella casetta, allora ben presto nel mondo ci sarebbero più pace e gioia.
Io desidero tanto che voi riusciate a trasformare le vostre case in un’altra casa di Nazareth, dove regnino pace, amore, felicità”.


giovedì 9 agosto 2012

Beato Francesco Jagerstatter (1907-1943)












Sposo e martire

C’è un beato che deve la sua felice collocazione in Paradiso, oltre che alla grazia di Dio, anche alla propria moglie che è riuscita a trasformare il “suo” uomo da un cristiano qualsiasi (e neppure tanto fervente) in un martire
Francesco, figlio di ragazza madre, nasce in Austria nel 1907, frutto dell’amore contrastato e “impossibile” tra una ragazza a servizio in una fattoria e un contadino che lavora nei campi attigui: entrambi troppo poveri per sposarsi, tanto che la famiglia di lei, ad un matrimonio di miseria, preferisce tenersi il bambino. Dieci anni dopo mamma si sposa con il proprietario di una piccola fattoria che lo adotta e gli da il proprio cognome. A 20 anni Francesco va a lavorare in una fattoria della Baviera e in una miniera della Stiria: con i soldi guadagnati, dopo tre anni può tornare in sella ad una moto, la prima del paese, che desta l’invidia degli amici e l’ammirazione delle ragazze, ma ha perso per strada la fede. Simpatico, allegro e festaiolo, ama corteggiare le ragazze del paese e si lascia coinvolgere anche in alcune risse con i giovani delle cricche rivali. Comincia un lungo percorso di riavvicinamento alla fede, ma la vera svolta nella sua vita avviene nel 1935, quando conosce Francesca, che sposa l’anno successivo: cominciano a pregare insieme, la Bibbia diventa loro lettura quotidiana, cercano di “aiutarsi l’un l’altra nella fede”, come ricorda ancora oggi Francesca. “Non avrei mai immaginato che essere sposati potesse essere così bello”, ammette Francesco, che intanto diventa papà di tre meravigliose bimbe. Contadino nei campi che il padre adottivo gli ha lasciato in eredità e per qualche tempo anche sacrestano della sua parrocchia, la sua fede, si nutre sempre più di preghiera e di comunione frequente. I problemi di coscienza cominciano per lui con l’ascesa di Hitler al potere. Ritenendo il nazismo assolutamente incompatibile con il Vangelo e per restare un cristiano coerente non solo a parole, comincia la sua solitaria battaglia di opposizione: rifiuta di fare il sindaco del suo paese, manda indietro gli assegni familiari che lo stato gli dovrebbe, rinuncia anche all’indennizzo per i danni della grandine, fino a convincersi che è peccato grave combattere e uccidere per permettere a Hitler di conquistare il mondo. Prega, digiuna, si confronta con parenti ed amici sacerdoti e tutti gli consigliano di adeguarsi, di pensare alla famiglia, di non mettere a repentaglio la propria vita, mentre lo stesso vescovo di Linz gli ricorda che non è compito di un padre di famiglia stabilire se la guerra sia giusta o no. Tutti, ad eccezione di Francesca. Che, pur sperando in una via d’uscita, non gli fa pressioni, lo lascia libero di seguire la sua coscienza, lo sostiene quando gli altri non lo capiscono o lo avversano. 

sabato 21 luglio 2012

Beata Vittoria Rasoamanarivo (1848-1894)


Vittoria nacque in data incerta nel 1848 a Tananarive (Madagascar) ed apparteneva ad una delle più potenti famiglie del paese, quella degli Hovas. Sua madre, Rambohinoro, era infatti figlia di Rainiharo, il quale espletò per oltre un ventennio le mansioni di primo mini­stro della regina Ranavalona I (1832-1852), ed era sorella di Rainilaiarivony, il quale ricoprì la stessa carica per più di trenta anni (1864-1895). Del pa­dre, Rainiandriantsilavo, si sa invece poco. Certo è invece che ella, secondo le usanze del paese, fu adottata dal fratello maggiore di suo padre, Raini­maharavo, comandante in capo dell'esercito malgascio.

La piccola ricevette, specialmente dalla madre, un'ottima educazione mo­rale. Nella sua gioventù seguì la religione indigena dei suoi antenati.

Arrivati però alcuni missionari francesi della Compagnia di Gesù, che riu­scirono a stabilirsi a Tananarive, presto seguiti dalle Suore della Congrega­zione di S. Giuseppe di Cluny, Rasoamanarivo fu tra le prime ragazze ad essere iscritte alla scuola aperta dalla Missione.

L'insegnamento della religione cattolica e l'esempio della vita dei Padri e delle Suore fecero un'impressione cosi profonda sulla fanciulla, allora tredi­cenne, che chiese di essere ricevuta nella Chiesa. Battezzata il 1° novembre 1863, ricevette in questa occasione il nome di Vittoria, presagio delle molte lotte che essa avrebbe dovuto sostenere a causa della sua fede e del suo amore per la Chiesa cattolica.