Sergio Bernardini e Domenica Bedonni, contadini nelle montagne di Pavullo (Modena), vissero e morirono santamente. Furono coniugi e genitori esemplari, pur tra stenti e sacrifici e tanta povertà. Ebbero non poche sofferenze, che sopportarono volentieri con tanto amore a Gesù. Sergio, già felicemente sposato, in pochi anni ebbe ben sette lutti in famiglia: gli morirono nel giro di poco tempo papà, mamma, fratello, la sposa e i tre figli. Rimase solo come il povero Giobbe, ma non se ne lamentava e confidava nel Signore.
Completamente solo nel 1912 e carico di debiti per le sette
malattie e i sette funerali, emigra in America anche per sfuggire ai ricordi,
trovando lavoro in una miniera statunitense. Ritorna però a casa appena un anno
dopo, dichiarando, con sorpresa di tutti, di essere scappato perché aveva paura
di perdere la fede in quella miniera. Per questo motivo, e anche perché in
effetti Sergio si sta distinguendo per una vita cristiana davvero impegnata, il
suo parroco pensa seriamente di avviarlo al sacerdozio, ma lui non si sente
portato, anzi se ne sente indegno, continuando ad accarezzare il sogno di una
famiglia, possibilmente numerosa, magari con qualche figlio missionario.
Qualcosa del genere sta pensando Domenica Bedonni, che ha sempre desiderato
farsi suora, non trovando mai qualcuno che l’aiutasse a realizzare questo
sogno. A 23 anni è giunta nella determinazione che, se non è diventata suora,
ha comunque la possibilità di essere mamma di suore, e magari anche di preti,
se solo le riesce di trovare un marito che la pensi come lei. Sarà il caso o,
per chi crede, un disegno superiore, ma un bel giorno, quando uno zio le fa
conoscere Sergio, appena rientrato dalla sua breve esperienza americana, scatta
la scintilla ed è subito amore. Quest’uomo dalla fede autentica che le dà tanta
pace e che, per di più, ha tutte le caratteristiche, anche fisiche, per
piacere, l’affascina talmente che dopo appena pochi mesi di fidanzamento si
lascia condurre da lui all’altare il 20 maggio 1914. Arrivano i figli, uno dopo
l’altro, senza tanti calcoli e tante previsioni: dieci in tutto, sei femmine e
due maschi, e bisogna lavorare sodo per sfamarli tutti. Di farli studiare
nemmeno si parla perché mancano i soldi, ma in quella casa anche i muri
trasudano tenerezza e carità. La giornata inizia con la messa per tutti, anche
quando si trasferiscono in aperta campagna e la chiesa è più distante; ma prima
che si concluda c’è tempo per il rosario, per educare i figli alla fede, per i
vespri, l’adorazione eucaristica e le adunanze perché Sergio e Domenica sentono
il bisogno di nutrire la loro fede. Il loro desiderio si realizza oltre misura,
a dimostrazione che Dio non si lascia vincere in generosità: sei figlie su otto
scelgono di farsi suora, una tra le Orsoline e cinque tra le Paoline di Alba, dove
le accettano anche senza dote; i due maschi entrano dai Cappuccini e sono
ordinati sacerdoti. Sbaglia chi crede che in quella famiglia si vada in malora
man mano che si riduce il numero delle braccia per lavorare nei campi: il
necessario non manca mai e in soprappiù abbonda la fede per affrontare anche
gli imprevisti, come le malattie o l’incendio, che nel 1922 distrugge mandria e
fienile, costringendoli a ricomincare daccapo.
In quella casa, invece, c’è sempre un piatto di minestra ed una pagnotta
per tutti i poveri che vengono a bussare e anche durante la guerra quella porta
si apre spesso e volentieri per nascondere, sfamare o confortare qualcuno. E
dato che la carità non è fatta solo di pane e minestra, come se non bastassero
gli otto figli già donati al Signore, Sergio e Domenica nel 1963 “adottano” un
seminarista nigeriano, pagando i suoi studi a Roma con la loro modesta pensione.
Il Signore che non solo promette il centuplo, ma realmente lo dà, farà di
questo loro figlio “adottivo” il vescovo di Ibadan in Nigeria ed attualmente
anche Presidente della Conferenza Episcopale nigeriana. E questi sarà vescovo
ordinante di Giuseppe (Padre Germano), figlio “naturale” di Sergio e
Domenica,attualmente vescovo emerito di Smirne. Al funerale di Sergio (nel 1966) come di Domenica (nel 1971) c'era una folla enorme di fedeli e la Santa Messa venne concelebrata da oltre 50 sacerdoti. Fedeli e sacerdoti ripetevano: "è morto un santo!"; "è morta una santa!". Ecco il testamento spirituale di Domenica , che contiene pure i peneri di Sergio: "Tutte le cose mi parlano del Signore e mi portano a Lui... I miei figli sono la mia corona e i miei tesori. Oh se potessi spiegarmi e farmi sentire da tutte le mamme del mondo, quale dono, qualegrazia grande è lavere dei figli e delle vocazioni nella propria famiglia! Ho sempre desiderato che i miei figli facessero del bene al mondo, per gloria di Dio. Ora chiedo che siate santi. Sono contenta di avere tanti figli, ma ne vorrei altri per avere altri sacerdoti, altri misionari. Nella sofferenza. coraggio. Il Signore ha poi tutta l'eternità per farci gioire. Devo tanto ringraziare il Signore delle molte grazie che ci ha fatto".
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